ZIA ROSINA

Ripida e tortuosa, la strada che porta al paese, dalle grotte delle fontane, dove le massaie fanno il bucato.

Ancora s'ode, nelle notti d'estate, il canto di una bambina, alle stelle.

Con i sandali fatti di legno e spago.

Sotto gli occhi vigili, dei pastori e dei contadini.

Il papà ritarda a tornare da quel 15-18, che durerà in eterno, ma la mamma, mantiene tutto in ordine, come i capelli che fa alle signore, acconciate per le feste di paese.

I mattoni d'argilla fabbricati nella fornace ardente, tra le terre macchiate di grano, e le vigne, sorvegliate dai guardiani.

Dalla montagna i zampognari, con la lunga barba, vestiti di pelle di capra, e i cacciatori, nascosti come i fucili all'interno dei camini.

Un asino bianco sul dorso della strada, e un frate per la questua agricola.

Un grosso maiale, nel recinto della casa del dottore, tra le galline e i cani da caccia. La raccolta dei fasci di legna all'alba, per un chilo di farina, da portare al forno.

Due forme di formaggio su una finestrella.

Riesco a immaginarne l'odore.

E' l'eco del ricordo amaro, tra lacrime, dolore e nostalgia, s'addormenta, spegnendo la luce di quella stella, che finalmente è arrivata nel pozzo, tra le braccia di madre terra, unita ai suoi antenati.

Lascia il ricordo del bene fatto, in una vita vissuta, dura di pane, bagnato di lacrime, e di vino rosso come sangue.

Dedicata alla mia bisnonna

Donato Riccardi - Aprile 2005

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