L'Apocalisse di San Giovanni

Per molti, il passaggio al nuovo millennio rappresentava un salto inquietante verso l'incertezza: il Millennium Bug, annunciato come una possibile apocalisse tecnologica, aveva alimentato paure apocalittiche e scenari catastrofici. Ma, a ben guardare, forse la "fine del mondo" non è arrivata tutta insieme, in un giorno preciso. Si è manifestata lentamente, goccia dopo goccia, attraverso trasformazioni economiche, sociali e culturali che oggi, a distanza di 25 anni, molti considerano sintomi evidenti di un fallimento strutturale della globalizzazione.

Dal 2000 a oggi: un'apocalisse lenta e silenziosa

L'idea è che non ci sia stato un collasso improvviso, ma un deterioramento progressivo dell'equilibrio sociale delle società occidentali.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito a:

  • un indebolimento dell'identità culturale e religiosa;

  • una crescente sfiducia verso le istituzioni;

  • comunità più slegate, frammentate, confuse;

  • valori e riferimenti comuni sempre meno riconoscibili.

La promessa della globalizzazione era quella di un mondo più connesso, più ricco, più cooperativo. La realtà percepita da molti cittadini è quasi l'opposto: un enorme minestrone culturale dove tutto si mescola e nulla si riconosce, dove le differenze non arricchiscono più ma disorientano, e dove le persone si sentono smarrite, senza punti fermi.

Crisi economica e stagnazione: famiglie e ceto medio in difficoltà

Sul piano economico, il periodo successivo al 2000 ha portato:

  • deindustrializzazione,

  • precarizzazione del lavoro,

  • salari stagnanti,

  • meno incentivi alla natalità e alle famiglie,

  • aumento del costo della vita.

La globalizzazione ha favorito alcuni settori e penalizzato altri. Le grandi aziende multinazionali prosperano, ma il ceto medio – un tempo il cuore pulsante dell'Occidente – si impoverisce e fatica a trovare stabilità. Questo genera sfiducia, rancore e un clima sociale sempre più fragile.

Immigrazione disordinata: convivenza sì, ma senza strumenti adeguati

L'immigrazione è una realtà complessa: molti migranti lavorano, si integrano, contribuiscono all'economia. Ma esiste anche una fetta – non necessariamente maggioritaria, ma visibile – che rimane ai margini, senza integrazione, senza prospettive, e talvolta coinvolta in situazioni di degrado e microcriminalità.

È innegabile che:

  • nelle stazioni,

  • nelle metropolitane,

  • nei quartieri ad alta densità,

si assista a episodi quotidiani di furti, borseggi, aggressioni o accattonaggio invasivo. Ciò alimenta la percezione di insicurezza, soprattutto perché spesso queste persone, pur fermate, tornano subito in libertà, senza conseguenze concrete.

Il problema non è l'immigrazione in sé, ma la mancanza di:

  • politiche di integrazione efficaci,

  • controlli adeguati,

  • strumenti legali per gestire chi delinque o vive ai margini fuori da ogni percorso regolare.

Europa e vincoli: il caso italiano

L'Italia si trova in una posizione particolarmente delicata:

  • frontiera del Mediterraneo,

  • destinazione primaria per arrivi non regolamentati,

  • vincolata da normative europee che limitano la gestione dei flussi e dei rimpatri.

Molti percepiscono l'Unione Europea come un insieme di catene burocratiche che impediscono all'Italia di proteggere i propri confini o riportare nei Paesi d'origine chi non ha diritto a rimanere. Il risultato è il paradosso per cui:

  • non si può integrare efficacemente,

  • non si può rimpatriare,

  • e le persone rimangono per strada, creando disagio sociale e tensione.

Conclusione: un progetto da ripensare radicalmente

Se la globalizzazione è stata presentata come un trionfo inevitabile, oggi molti vedono in essa un progetto incompleto, sbilanciato, che ha finito per:

  • indebolire le identità nazionali,

  • mettere in crisi il tessuto economico interno,

  • creare più caos che ordine,

  • aumentare le tensioni sociali,

  • generare paura e confusione invece che benessere.

Non si tratta di chiudersi al mondo, ma di ripensare completamente il modello, mettendo al centro:

  • sicurezza,

  • integrazione reale,

  • tutela culturale,

  • equità economica,

  • responsabilità reciproca.

Solo così si è possibile ricostruire società più solide, consapevoli e coese.

Donato Riccardi 7/12/2025

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